Fonte: Elaborazioni su dati Istat e Banca d'Italia
L'effetto è un crollo della domanda interna di cinque punti percentuali tra la fine del 2011 e l'inizio del 2013, dopo i quattro punti persi tra il 2008 e il 2009. I consumi si riducono del 6,5%, anche per un nuovo calo dell'occupazione (circa 650 mila unità di lavoro) e gli investimenti piombano di un altro 12%.
Effetto non secondario del calo della domanda interna è il crollo delle importazioni, che consolida il miglioramento delle partite correnti con l'estero.
Dopo aver illustrato nel post del 4 aprile scorso i dati
economici della crisi, oggi mi soffermo sulle politiche economiche che sono
state attuate.
Innanzi tutto è evidente che il nostro paese ha subito
due shock recessivi: il primo, quello del 2008, è stato indotto – come è noto –
dalla crisi finanziaria successiva al fallimento della Lehman Brothers negli
Stati Uniti; il secondo ha origine prevalentemente “interne”.
La crisi del 2008
Con la crisi finanziaria innescata dal fallimento della
Lehman Brothers, la sfiducia si diffonde tra gli imprenditori a livello
mondiale. Il pil dei paesi Ocse tra il 2008 e il 2009 crolla di circa il 5%. Ma oltre il crollo della domanda mondiale, alla nostra recessione contribuisce anche l’eccessiva forza
dell’euro-lira (misurata in termini effettivi mediante i prezzi alla
produzione): quando scoppia la crisi i prezzi dei nostri manufatti sui mercati
internazionali superano di oltre l’8% i livelli del 1999.
Non avendo il controllo della politica valutaria, il tasso
di cambio effettivo reale permane esageratamente forte fino al 2010 e ciò non
aiuterà certo ad assorbire lo shock esterno, determinando un deficit delle
partite correnti che arriverà al 3,9% del pil.
L’effetto combinato del crollo della domanda estera con i
prezzi non allineati a quelli internazionali ha un impatto sulle nostre
esportazioni paragonabile ad uno tsunami: -24%. Le imprese
reagiscono sfoltendo la base occupazionale: i dipendenti vengono ridotti del 5%
nel giro di due anni, ma non è sufficiente per evitare che il clup si impenni
in un anno del 7,5%. Il margine operativo lordo (mol) crolla di oltre l’8% e dà
il pretesto per avviare una nuova tornata di licenziamenti (nel 2014 i
dipendenti del settore privato saranno il 7% in meno rispetto all’inizio del
2008).
Al crollo della domanda estera si aggiunge così il calo
della domanda interna, indotta sia dal calo dei redditi per la perdita dei
posti di lavoro, sia per il crollo degli investimenti (-14,2% rispetto al primo
trimestre 2008).
Il risultato complessivo è un crollo del prodotto interno lordo del 7,6%.
Ma il cambio non è l’unico strumento di cui abbiamo perso il controllo. Anche i tassi di interesse vengono decisi a Francoforte.
La politica monetaria della BCE, per quanto abbia tentato di ridurre la curva dei tassi portando quelli ufficiali dal 4,25 all’1%, non si trasmette ai titoli pubblici italiani e agli altri paesi periferici (dando inizio al tormentone sullo spread). E’ il primo campanello di allarme sulla sostenibilità dell’euro che diventerà del tutto evidente dopo la crisi greca, quando i mercati prendono atto che il debito pubblico dei paesi membri dell’area euro è privo di garanzie. In questo contesto, i titoli pubblici incominciano ad incorporare un premio per il rischio emittente che, nella fase più acuta della crisi, si tramuterà nel rischio per la ridenominazione del debito.
La politica monetaria della BCE, per quanto abbia tentato di ridurre la curva dei tassi portando quelli ufficiali dal 4,25 all’1%, non si trasmette ai titoli pubblici italiani e agli altri paesi periferici (dando inizio al tormentone sullo spread). E’ il primo campanello di allarme sulla sostenibilità dell’euro che diventerà del tutto evidente dopo la crisi greca, quando i mercati prendono atto che il debito pubblico dei paesi membri dell’area euro è privo di garanzie. In questo contesto, i titoli pubblici incominciano ad incorporare un premio per il rischio emittente che, nella fase più acuta della crisi, si tramuterà nel rischio per la ridenominazione del debito.
Privati sia della politica valutaria che di quella
monetaria, non ci restava che agire su quella di bilancio.
E’ vero che il saldo primario passò da un avanzo del 3%
del pil all’inizio del 2008 ad un deficit prossimo all’1% alla fine del
2009. Ma l’effetto come si può vedere
nel grafico seguente fu alquanto modesto in termini di contributo alla domanda
complessiva.
Anche la politica di bilancio, come quella valutaria e
monetaria, resta di fatto indifferente all’effetto distruttivo provocato dall’onda
d’urto di una crisi che non aveva precedenti per intensità e profondità.
La crisi del 2012 - 2014?
A tirarci temporaneamente fuori dalla crisi è ancora una
volta la domanda estera: tra la metà del 2009 e il 2012 le esportazioni riguadagnano
quasi 20 punti percentuali. Sia il ritorno alla crescita dell’economia
mondiale (i paesi Ocse a metà 2010 crescono del 3,4%) che una svalutazione del
cambio effettivo, che riporta i prezzi dei manufatti sui mercati internazionali
ad appena l’1% sopra i livelli del 1999, favoriscono la ripresa.
Piatta risulta invece la domanda interna: i consumi hanno
difficoltà a riconquistare i livelli pre-crisi; gli investimenti restano sulle dimensioni
(depresse) del 2009.
Nel complesso il pil tra il 2009 e il 2011 risale di 3,2
punti.
Ma la bonaccia dura poco. E’ vero che l’economia
internazionale rallenta e passa da una crescita del 3,4 all’1% del 2012, ma l'export trova sostegno nei
prezzi dei nostri prodotti, ormai allineati ai mercati internazionali (nel 2012 sono anche più convenienti di quelli di 13 anni prima).
Questa volta è la domanda interna a segnare il passo. Che
succede? Succede che la BCE, per indurre il governo italiano a rispettare i
parametri di bilancio e avviare le "riforme strutturali", ovvero a ridurre il costo del lavoro mediante la rimozione degli ostacoli che si frappongono all'espulsione del personale in esubero, lascia salire i tassi di interesse sui titoli pubblici
decennali oltre il 7%. Monti subentra a Berlusconi e l’avanzo primario (ovvero la sottrazione
di risorse al settore privato) ritorna al 2% del pil.
L'effetto è un crollo della domanda interna di cinque punti percentuali tra la fine del 2011 e l'inizio del 2013, dopo i quattro punti persi tra il 2008 e il 2009. I consumi si riducono del 6,5%, anche per un nuovo calo dell'occupazione (circa 650 mila unità di lavoro) e gli investimenti piombano di un altro 12%.
Effetto non secondario del calo della domanda interna è il crollo delle importazioni, che consolida il miglioramento delle partite correnti con l'estero.
Rassicurati i creditori esteri e avviati i "compiti a casa" la BCE può procedere con maggior tranquillità all’allentamento
monetario: i tassi ufficiali vengono di fatto azzerati e i tassi decennali
possono scendere a fine 2014 al 2%, che si confrontano tuttavia con una
crescita nulla del pil nominale (-0,4 quella reale).
I governi Letta e Renzi proseguono le politiche di
bilancio iniziate da Monti: l’avanzo primario resta per tutto il 2013 sul 2% e solo
a fine 2014 scende leggermente (1,6%).
L’avvio del quantitative
easing nel 2015 dovrebbe allentare ulteriormente la pressione sul tasso di
cambio effettivo reale, che nel frattempo è risalito sopra i livelli del
1999 del 2,5% .
Le tensioni sembrano ora allentarsi, ma il prezzo pagato è
stato un calo del prodotto del 9,6% (peggio della grande depressione degli anni
’30) e un calo dell’occupazione in termini di unità di lavoro (ovvero di posti
effettivi) di 1,8 milioni.
Anche se si ritornasse ad una crescita del pil pari all’1% annuo, ci
vorrebbero altri otto anni, ossia nel 2023, prima di ritornare sui livelli pre-crisi.
Se così fosse, sarebbe una crisi lunga ben 15 anni. Difficile considerare uno scenario del genere come un successo delle politiche di austerità (imposte dall’Eurosistema).