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Visualizzazione post con etichetta Statistiche e Previsioni Economiche. Mostra tutti i post
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venerdì 27 novembre 2015
lunedì 3 agosto 2015
Wagner, chi era costui?
Nei giorni scorsi il Financial Times ha pubblicato i dati
della spesa pubblica per abitante, ove si mostra che quella italiana non è poi
così elevata come si suole dire.
Qui se ne era dato conto il 7 luglio scorso. Mentre avevo
espresso un commento sulla significatività di questo tipo di statistiche il 20 febbraio.
Ora vi ritorno perché ai liberisti questo tipo di
statistiche non piacciono. Vi sono dei professori alla Bocconi che hanno argomentato che la spesa pro capite
non è significativa perché mancherebbe il denominatore, ovvero un altro
parametro di raffronto, rappresentato dal pil pro capite.
Capite ora che tipo
di laureati possano uscire da un’università di questo tipo!
Occorre spiegarlo? Spieghiamolo allora. Il denominatore
esiste ed è la popolazione. Si parla infatti di spesa pubblica per abitante,
ovvero di G/P se con G indichiamo la spesa pubblica e con P la popolazione. Il
rapporto che Carlo Alberto Maffè riterrebbe significativo, ovvero
G/P
Y/P
non sarebbe altro infatti che il rapporto tra spesa
pubblica e pil:
Rapporto significativo, ma non è quello di
cui si stava parlando.
G . P = G
P Y Y
In apparenza, più sofisticato è il richiamo di Riccardo
Puglisi, che invoca una meritatamente sconosciuta legge di Wagner.
In sintesi questa sofisticata teoria sostiene che la spesa
pubblica aumenta con la crescita del reddito pro capite, per cui non vi sarebbe
nulla di particolarmente straordinario nelle statistiche appena diffuse.
Se così fosse, di che si lamentano i liberisti? Se la spesa pubblica è alta
sarebe allora merito di un reddito più elevato. O forse vogliono ridurre i redditi dei
cittadini al solo scopo di ridurre la spesa pubblica?
Questi sono i paradossi a cui si giunge partendo da correlazioni
errate. La spesa pubblica non aumenta per il solo fatto che il reddito aumenta.
Il reddito pro capite americano è sicuramente più elevato, ma l’incidenza della
spesa pubblica è inferiore a quella europea. Si deve pertanto prendere atto che
la spesa pubblica è una spesa autonoma, non strettamente dipendente dal
reddito. Ne è prova il caso greco, ove la spesa pubblica è stata drasticamente
tagliata e il pil è crollato (e non certo viceversa, dato che i tagli sono
stati imposti da organismi esteri, la troika,
ai legittimi governi ellenici).
domenica 1 febbraio 2015
Previsioni pil 2015 a gennaio
Il Pil degli Stati Uniti, registrando nella parte finale dell'anno scorso un aumento del 2,6% annualizzato sul trimestre precedente, chiude il 2014 con una crescita del 2,4%.
Per il 2015 si attende una crescita del 3,1%.
Nella zona euro, dopo il +0,8 previsto per l'anno appena concluso, si dovrebbe registrare un aumento dell'1,1. Migliorano le aspettative anche per l'Italia, con una crescita del pil che passa dallo 0,4 allo 0,5%, sostanzialmente grazie all'effetto congiunto del calo dei prezzi energetici con l'indebolimento dell'euro. Molto più incerto è l'effetto del QE appena varato dalla BCE sulla crescita della domanda interna.
sabato 15 novembre 2014
lunedì 3 novembre 2014
Commento alle previsioni Istat
L’Istat questa mattina ha
rilasciato le nuove previsioni per il periodo 2014-2016. Secondo queste, il pil
dopo il calo dello 0,3% di quest’anno crescerà dello 0,5 nel 2015 e dell’1% l’anno
dopo.
Poiché sono già poco attendibili
quelle del 2015, è inutile addentrarsi ad esaminare le previsioni per il 2016.
Quelle del prossimo anno, pur essendo in linea con le previsioni prevalenti,
risultano poco credibili se si esamina in dettaglio la domanda effettiva che
dovrebbe giustificare quella crescita.
La tabella che segue riprende le
previsioni dell’Istat ed evidenzia gli andamenti semestrali impliciti per il
2014.
La cosa che salta all’occhio è l’andamento
degli investimenti. Nel 2014 la domanda effettiva al netto della spesa delle
imprese dovrebbe crescere dello 0,3%. Una miseria. E ciò ha indotto le aziende
a ridurre gli investimenti del 2,3%. Nel 2015, pur avendo di fatto la stessa crescita
anemica (+0,4), non si capisce perché le imprese dovrebbero espandere gli
investimenti dell’1,3%. Tanto più che – ad esempio – la capacità produttiva
utilizzata dalle imprese manifatturiere è
poco sopra il 72% e dista sei punti percentuali dal culmine del 2007. Ferme
restando tutte le altre ipotesi, se solo si lasciasse invariato nel 2015 il
livello degli investimenti preventivato per quest’anno la crescita del pil
sarebbe dello 0,3 anziché dello 0,5%.
Addendum del 6 novembre
L'Ocse prevede per l'Italia una crescita del pil nel 2015 dello 0,2%.
giovedì 2 ottobre 2014
Ma quanti sono i disoccupati?
Dipende da cosa si intende per disoccupato. Ad esempio l'ufficio statistico americano fornisce ben sei definizioni di disoccupazione. Quella ufficiale (U3) ad agosto era al 6,1% della forza lavoro (occupati + disoccupati ufficiali). La definizione più estesa (U6) include sia coloro che sono disponibili a lavorare, ma hanno smesso di cercare attivamente un'occupazione, sia quelli che pur avendo un'occupazione part time hanno accettato quanto veniva loro proposto per ragioni economiche, ma sarebbero interessati ad un lavoro full time. In tal caso, il tasso di disoccupazione americano sale al 12%.
Il Rapporto sul Mercato del Lavoro del Cnel propone anch'esso sei definizioni di disoccupazione. Sono quelle indicate nella seguente tabella.
La disoccupazione ufficiale è qui definita U1 ed è quella che normalmente calcola l'Istat e riguarda coloro che ricercano attivamente un lavoro. La definizione più estesa, anch'essa definita U6, è simile al quella utilizzata dall'istituto statistico americano. Ma in tal caso, il tasso di disoccupazione italiano supererebbe il 30%.
Ma chi ha rinunciato a cercare un lavoro perché si è stufato di inviare inutilmente il curriculum è forse meno disoccupato di chi si è appena diplomato o laureato e si affaccia per la prima volta sul mercato del lavoro?
Non sarebbe male se l'Istat si adeguasse alla stessa metodologia impiegata dal BLS americano, diffondendo oltre al tasso di disoccupazione ufficiale anche quello più esteso, assai più veritiero. Sarebbe sicuramente un'operazione più giusta e interessante di quella messa in opera per adeguare il pil.
mercoledì 10 settembre 2014
Spese per l'istruzione
Fonte: Ocse
Il secondo esprime la spesa per l'istruzione in percentuale del pil
Riporto alcuni grafici del rapporto Ocse dedicato all'istruzione.
Il primo riguarda la spesa per studente sostenuta da vari paesi nel 2011.
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Il secondo esprime la spesa per l'istruzione in percentuale del pil
L'ultimo grafico mostra la quota della spesa per l'istruzione in rapporto alla spesa pubblica complessiva
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venerdì 13 giugno 2014
Uno sguardo all'economia americana (e non solo) con alcuni grafici
L'Ocse nel rapporto dedicato all'economia americana pubblica alcuni grafici molto interessanti, che qui riporto. L'Overview del rapporto lo trovate invece qui.
1) La forza della ripresa dell'economia americana dall'ultima crisi rispetto alle riprese precedenti, sia in termini di pil che di occupazione.
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2) Il livello di indebitamento sia delle famiglie che delle imprese (ho evidenziato con una freccia la posizione dell'Italia)
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3) L'impatto dell'ultima crisi sul tasso di crescita del pil, rispetto al trend pre-esistente. Si noti il confronto con l'economia dell'Euro Zona.
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4) Infine il livello del rapporto prezzo / utili delle azioni americane, corretto per il ciclo, rispetto alla media storica, così come calcolato dal premio Nobel Robert J. Shiller
martedì 27 maggio 2014
Disoccupazione giovanile 2013
Fonte: ILO
Riporto la cartografia mondiale della disoccupazione giovanile così come pubblicata dal rapporto dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro.
In Italia nel 2013 era al 39,7%. Cliccando sulla fonte dei dati riportata all'inizio di questo post si potrà conoscere l'effettivo tasso di disoccupazione degli altri paesi, grazie all'interattività del grafico, nonché scaricare l'intero rapporto.
martedì 6 maggio 2014
sabato 26 aprile 2014
Animal Spirits e Vudù
Fabrizio
Galimberti su Il Sole 24 Ore di oggi
scrive
riduzioni di imposta finanziate da riduzione di spesa, si dice, possono essere recessive invece di dare uno stimolo (il moltiplicatore della spesa è superiore al moltiplicatore dell’entrata). Il che è tecnicamente vero, ma la temperie presente della nostra economia mal si presta a questi calcoli. Dopo una lunga prostrazione che ha rigettato il reddito reale pro-capite al livello di fine secolo scorso, tutto ormai si gioca su variabili diverse dalla contabilità degli stimoli. Quel che conta è la fiducia, la propensione al consumo non è una costante, la propensione ad investire è scalpellata dagli “spiriti animali”, l’umore del Paese può cambiare rapidamente.
Sono sostanzialmente le stesse tesi che venivano avanzate
per l’austerità espansiva: un taglio della spesa pubblica, permettendo di
ridurre la pressione fiscale, avrebbe ridato fiducia al settore privato che avrebbe
incominciato ad investire, alleviato dal ridotto peso delle imposte. Sappiamo
come è andata: l’avanzo primario dal 2010 al 2013 è passato dallo 0,1 al 2,5%
del 2012 e al 2,2 dell’anno scorso. Nello stesso periodo il pil è sceso del
3,6% ed ora gli stessi fantasiosi autori (Giavazzi e Alesina) sono favorevoli
ad uno sforamento del deficit del 3%.
Non si capisce infatti perché una teoria (quella del
moltiplicatore della spesa pubblica), confermata da studi empirici del Fmi, non
debba valere per l’Italia e ci si debba piuttosto affidare a teorie non molto
diverse da quelle vudù, per le quali politiche restrittive avrebbero effetti espansivi.
Ma al di là delle dispute teoriche, resta il fatto che il
programma economico del governo Renzi, così come illustrato dal DEF, prevede
che l’avanzo primario salga dal 2,2 al 2,6%. Anche tralasciando tutti i
discorsi sui moltiplicatori, l’effetto sul settore privato è chiaramente
restrittivo.
Se crescita sarà (la media delle previsioni è allo 0,6%),
non sarà certo per merito della domanda pubblica, ma nemmeno dei consumi delle
famiglie (il FMI li stima in calo di un altro 0,2%). L’espansione dovrebbe
arrivare dalla domanda estera, la quale andrebbe però a compensare il calo della
domanda interna al netto degli investimenti. Questi ultimi, infine, innanzi ad
una domanda effettiva sostanzialmente stagnante dovrebbero crescere secondo il
Fmi, di quasi il 2%. Perché? Boh. Spiriti animali o wishful thinking, salvo poi
scoprire tra sei mesi che la previsione era troppo ottimista.
P.S. - Intanto sono già arrivati i primi lamenti per il calo dell'export in seguito alle svalutazioni dei paesi emergenti. (Se la svalutazione del tasso di cambio è un male per il sistema economico, come mai la rivalutazione non è così benefica?)
P.S. - Intanto sono già arrivati i primi lamenti per il calo dell'export in seguito alle svalutazioni dei paesi emergenti. (Se la svalutazione del tasso di cambio è un male per il sistema economico, come mai la rivalutazione non è così benefica?)
martedì 8 aprile 2014
Le previsioni del FMI per il 2014
Fonte: FMI
I peggiori in Europa? I soliti noti (Grecia, Italia, Spagna), ma anche Olanda e Finlandia.
I peggiori in Europa? I soliti noti (Grecia, Italia, Spagna), ma anche Olanda e Finlandia.
giovedì 3 aprile 2014
La piena occupazione? quando i disoccupati sono al 10%
Fonte: Ocse
I presunti (e presuntuosi) tecnici dell'Ocse (come quelli della Commissione Ue) hanno stabilito che l'Italia avrà la piena occupazione quando i disoccupati saranno circa il 10% (contro l'attuale 13%).
Non ci credete? Impossibile?
Beh, pensate che questi incompetenti, che si sentono autorizzati a fornire raccomandazioni di politica economica come se fossero i depositari della Legge, prevedono la piena occupazione per la Spagna con il 22% dei disoccupati.
Serve altro per capire che usano modelli totalmente sballati?
Anziché far riferimento al punto più alto del ciclo economico, questi sciacalli definiscono il massimo della capacità produttiva (e annessa occupazione e disoccupazione) quella che risulta dalla media degli ultimi anni. E poiché dal 2008 la disoccupazione è in crescita, la media restituisce tassi di disoccupazione "strutturale" sempre più elevati. Ne consegue che le politiche espansive devono essere evitate, perché altrimenti ripartirebbe l'inflazione anziché crescere l'occupazione.
Follia allo stato puro!
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mercoledì 26 marzo 2014
mercoledì 19 marzo 2014
Istruzione, Spesa sanitaria e ineguaglianze in Italia e nei paesi Ocse
Fonte: Ocse
Il grado di diseguaglianza nella distribuzione dei redditi può essere misurato dall'indice del Gini, che varia da zero a uno. Più l'indice è basso più si ha equidistribuzione del reddito; più è alto più il reddito del paese è concentrato in poche persone.
martedì 25 febbraio 2014
Previsioni Commissione Ue
Fonte: Commissione Ue
Pil 2013 e previsioni per il 2014
Pil 2013 e previsioni per il 2014
E per quelli che ripetono come le maestrine del secolo scorso che "dobbiamo fare i compiti a casa", sanno che l'Italia ha l'avanzo primario più alto tra i maggiori paesi euro?
certo che lo sanno, ma sono venduti agli stranieri (UE, Merkel, ecc.) o sono ideologicamente reazionari. Talvolta sono le due facce della stessa medaglia: reazionari traditori dell'Italia
martedì 11 febbraio 2014
Il Pil della Zona Euro è il 10,7% in meno rispetto al potenziale stimato nel 2008
Utilizzando il grafico pubblicato dall'OFCE è facile calcolare che nel 2014 il pil della zona euro sarà il 10,7% più basso rispetto a quanto sarebbe stato se fosse cresciuto ad un tasso potenziale dell'1,9% come stimato nella primavera del 2008 dalla Commissione Europea.
giovedì 26 dicembre 2013
Krugman e il tasso di partecipazione
Secondo il BLS, l'istituto statunitense specializzato nelle statistiche del lavoro, nel prossimo decennio il tasso di partecipazione della forza lavoro, ovvero il rapporto tra chi è disposto a lavorare (o lavora) sul totale della popolazione in età lavorativa, sarà destinato a scendere dal 63,7% del 2012 al 61,6.
Tendenzialmente non vi è quindi speranza che possa ritornare sui livelli pre-crisi, come auspicato da Paul Krugman per poter considerare conclusa la crisi del 2007.
Il calo sarà imputabile soprattutto alla fascia giovanile della forza lavoro. La decisione di presentarsi sul mercato del lavoro calerà dal 55 a meno del 50% (era il 66% nel 1992). E' augurabile che tale evoluzione dipenda da una più estesa frequentazione delle aule scolastiche.
Se questa tendenza verrà confermata il tasso di partecipazione non potrà costituire un valido indicatore per decretare il successo o meno delle politiche economiche statunitensi, come alcuni osservatori (soprattutto europei) sembrano sostenere per screditare quanto avviene al di là dell'Atlantico. Nel tasso di partecipazione subentrano infatti numerosi fattori, da quelli demografici alle politiche di immigrazione, dalla propensione agli studi dei giovani al ciclo economico che vive il paese.
Molto più significativo sarà ed è il tasso di disoccupazione, magari quello che include gli sfiduciati e coloro che sono costretti ad accettare un lavoro part time in mancanza di meglio. E quest'ultimo indicatore è attualmente al 13,2% (contro il 7 ufficiale).
Ma i disoccupati, ufficiali e sfiduciati, stanno diminuendo e contemporaneamente l'occupazione sta crescendo. E coloro che si affidano al tasso di partecipazione per sostenere che le statistiche non riescono a cogliere del tutto coloro che hanno rinunciato a cercare un lavoro dovrebbero prima spiegare come sia possibile che la gente rinunci proprio quando l'occupazione sta crescendo. E l'occupazione negli Usa è cresciuta di quasi 7,5 milioni dal punto più acuto della crisi, assorbendo 4,5 milioni di disoccupati ufficiali. Gli altri 3 milioni sono necessariamente giunti dagli sfiduciati o dalle nuove leve della forza lavoro.
Si può sempre fare di più e meglio. E gli economisti americani hanno tutte le ragioni per sostenere le politiche economiche più opportune per assorbire al più presto la disoccupazione. Meno accettabile è vedere gli europei criticare gli Usa, quando qui non si fa nulla per sostenere la crescita.
giovedì 12 dicembre 2013
martedì 10 dicembre 2013
La propensione al consumo dei ricchi è diversa da quella dei poveri
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Interessante. La differenza tra ricchi e poveri non è così grande come pensavamo |
Il fallimento delle previsioni economiche deriva da errati moltiplicatori della spesa. A loro volta i moltiplicatori sono determinati in misura significativa dalla propensione al consumo, diversa tra ricchi e poveri. Un articolo pubblicato da Keynes Blog ne ricostruisce la storia.
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